Amarcord sull'essenza del giudicare
Il primo Giudice che conobbi, in una
fredda giornata d'inverno in un anno di tanti anni fa, appena nominato
Vicepretore del Mandamento di Palmi, fu un canuto Pretore che si diceva fosse
di origine napoletana, trasferitosi per un mal d’amore nella lontana contrada
calabrese.
Il Pretore, quasi per innata predilezione,
mi raccontava con passione le sue antiche esperienze professionali e di vita.
Un giorno lo andai a trovare, per una
urgente delega, nella sua amena e francescana abitazione.
Felice per l’inaspettata visita, senza
indugiare, conoscendone la mia insaziabile passione, mi ostentò un volume delle
orazioni del giurista Carnelutti con la firma e la dedica in calce alla
sovraccoperta.
Poi cominciò, appalesandone una arcana
necessità a raccontarmi di come agli albori magistratuali nella prima sede
piemontese, si faceva accompagnava sovente da un cancelliere, più anziano
allampanato ed intabarrato al punto da sembrare un cipresso.
In quel paese ai confini con la Francia, le
strade esistenti, quasi tutte, dedicate ai più noti detrattori garibaldini,
erano pavimentate con ciottolame lavico, si presentavano alcune anguste e
ripide ed in qualche punto, in particolare negli angoli, erano costituite da
rampe.
Il ciottolame emetteva un chiarore che
nelle notti buie dava il senso dell'orientamento e fungeva da pubblica
illuminazione.
Il cancelliere procedeva a passi regolari
seguito dal Pretore cantando a squarciagola e allorché cessavano lo sforzo
vocale, cominciavano a fischiare un noto motivo di una marcetta militare.
Mi spiegò, che il comportamento sonoro dei
due mirava a segnalare la loro presenza.
Infatti quasi tutti gli abitanti del
paesino piemontese, in certe ore serotine rovesciavano per strada il contenuto
dei vasi da notte, ma all'approssimarsi del passaggio dei due, rinviavano
l'operazione chiudendo rumorosamente i vecchi e traballanti infissi lignei
delle finestre che sembravano fossili.
Da quel giorno della mia giovinezza, nel
corso della vita ho conosciuto innumerevoli Giudici e mi sono reso conto che il
rischio che correva quel Giudice era di sapore arcadico e che invece ben più
pericolosi getti insidiavano ed insidiano gli altri.
Il Giudice veramente affidabile è quello
indipendente ed alcuni "getti" sono costituiti da raccomandazioni,
segnalazioni o comunque pressioni parassitarie provenienti da taluni ambienti
anche, associativi e politici.
Il Giudice deve comprendere che quell'attentato alla sua indipendenza, se non trova una pronta ed energica ripulsa, cagiona
immancabilmente la caduta dei valori ideali di Giustizia e che se la sua
reazione può cagionare scarsa simpatia agli interessati delusi, tra i primi a
stimarlo sono questi ultimi!
E che dire della ipertrofia della
legislazione il più delle volte poco ponderata e poco coordinata, emessa
sull'onda di una provvisoria protesta popolare e che forma una giungla vasta ed
intricata che non è agevole attraversare senza la guida di un buon esperto o
quanto meno senza la bussola di un po’ di senso giuridico che non è la stessa cosa
del buon senso comune.
Tanti sacrifici qualificano nel quotidiano
professionale la nobile funzione del giudicare: la sentenza è sempre una
creazione di una coscienza viva, sensibile, vigilante ed umana.
E che dire di altri “getti” di certe
esternazioni fuori dalla sede istituzionale, di alcune uscite spettacolari e di
improvvise intemperanze nei rapporti con gli altri operatori di Giustizia?
E' pur vero che nell'amministrazione
giudiziaria molte cose non vanno per il verso giusto, ma non è necessario, per
mantenere alto il proprio prestigio abbassare quello degli altri, né perdere il
tratto signorile e pacato e delle volte anche deferente nei confronti dei più
anziani che ne siano meritevoli durante l'esercizio del proprio dovere.
Va aggiunto che molte volte taluni Giudici
si inseriscono nel circuito delle responsabilità politiche di partito: le luci
della ribalta politica sono alternative a quelle della celebrazione dei
processi.
La fenomenologia sociale della parola per
creare la popolarità politica del singolo Giudice non è che la sua progressiva
distruzione.
I retaggi di un nome onorato e di una vita
vissuta all'insegna della ricerca della verità e della Giustizia, sono i
migliori beni che un Giudice possa lasciare in eredità alla sua famiglia e a
quella della Magistratura.
Un mio ammirato e da tempo assente amico
che un tempo giudicava, ben scriveva: "So
che in ogni uomo che giudico, giudico me stesso...so che il diritto è sofferenza
per chi lo subisce, a cui toglie qualcosa o toglie tutto...Così cerco
l'innocenza piuttosto che la colpa...la verità che io cerco è bagnata di
sudore...Non ho niente e nessuno da vendicare, niente e nessuno da perdonare. Sono
solo un uomo, un piccolo uomo che ha paura del buio, che cerca la luce, il
chiarore di una scintilla, che si specchia timoroso nell'anima di un altro uomo
per giustificarlo se possibile o almeno comprenderlo...".