domenica 29 novembre 2015

Habemus Papam


Riflessioni storiche-grottesche sul potere temporale


Gli antichi romani dicevano prudentemente “nihil sub sole novum” (nulla di nuovo sotto il sole) aggiungendo “sine non nova saltem nove” (se non cose nuove, almeno in un modo nuovo).
Nel 1464, dopo una gestione instabile e dissestante di Pio II al secolo Enea Silvio Piccolomini, salì sul trono pontificio un nobile veneto che prese il nome di Paolo II.
La sua bandiera morale, per quei tempi sembrava stridente: Stato, Legge, Dignità e Rispetto umano.
Anacronistica etica che si scontrò con una realtà romana, facendogli rimpiangere la sua patria d’origine e la disciplina dogale.
Ma Paolo II era un uomo di ferro e seppe trovare uomini onesti e al di sopra d’ogni camarilla che lo assecondarono.
Queste furono le parole d’esordio: “Torna a grave disdoro dei governanti e delle cittadine magistrature e genera un gravissimo pericolo per lo stesso Stato della Chiesa e di questa Alma Urbe, il durare di questa triste situazione, agevolato oltre ogni modo dal gran disordine regnante nel campo giuridico ed in quello amministrativo”.
Stante così lo stato dell’arte, Paolo II riordinò de plano le competenze giuridiche e amministrative smettendo le procedure e distinguendo i giudici.
L’intrico legislativo, aveva generato una situazione che non consentiva ai giudici di sentenziare interpretando tutte le norme esistenti: c’era un ginepraio di editti, rescritti e regolamenti che si sovrapponevano e si contraddicevano.
Paolo II non stette troppo a pensarci, infatti nominò una Commissione di giuristi escludendone deliberatamente i politici!
Chiamò a presiedere i lavori riformatori Pietro Mellini, Lorenzo Petroni e Giovanni Battista Cardona i quali furono coadiuvati nella riforma dall’avvocato concistoriale Giovanni de Narni, rinomato dottore in utroque.
Con il Populariter Aedicta la Commissione riuscì a portare i lavori in poco tempo, unificando tutto il precedente ciarpame legislativo, che venne approvato dal Consiglio Sanatorio, ratificato dal Consiglio generale, approvato dal popolo convocato a parlamento e promanato dal Pontefice con la bolla del 23 settembre 1469: in meno di tre anni fu tutto definito.
Il coraggio di un Pontefice illuminato fece in breve ciò che Governo, Senato e Camera dei Deputati oggi non riescono a fare in decenni.
Ma è anche vero che, in quei tempi le leggi venivano studiate e redatte dai giureconsulti e non da politicanti mossi da interessi di bottega.
Si tratta, oggigiorno, di vedere chiaro e di mozzare la volontà pseudo politica delle mezze figure, riproponendo figure carismatiche del Diritto, fuori dagli schemi tornacontisti assoldati dal politico di strapazzo, che si erge a garantista dei suoi interessi e a sanculotto di quelli avversari, trasmutandosi in una specie di giullare alla Marcolfo il quale deprezzava il sacrosanto diritto del Cittadino considerato subalterno agli interessi della giustizia regnante.
Cercasi un Paolo II!

Nuntio vobis gaudium magnum: Habemus Papam! (dalla formula usata sin dal XV secolo per annunciare l'elezione di un nuovo pontefice).

venerdì 20 novembre 2015

Il complesso di Erostrato


Riflessioni sulla patologica ansia dei giudici di sopravvivere nella memoria dei posteri


Ad Efeso esisteva il più grande e venerato tempio di Artemide, che venne incendiato da Erostrato.
L’incendiario si era ripromesso di rendere immortale il suo nome anche a costo di compiere una similare ed esecrabile azione criminosa.
La saggezza dei magistrati di Efeso li portò a proibire di pronunciare il nome di Erostrato per l’eternità, sotto pena di morte.
La damnatio memoriae sortì un parziale effetto, tramandandone il nome sia pure per pochi e con denigrabili accostamenti.
Il criminale pastore greco che ad Efeso, il 21 luglio del 356 a.C., per immortalare il suo nome, incendiò e distrusse una delle sette meraviglie del mondo, è un dilettante piromane dinanzi alla pletora di narcisisti magistrati, affetti da sintomatologie compulsive e maniacali cronicizzate dalla reiterata e manifesta ossessione di protagonismo recidivo infraquinquennale.
Usanze consolidate e da abiurare, ma che in fondo costituiscono la crème brûlée dell’ex bel paese, dove se non si appare dentro l’obsoleto tubo catodico o nelle invendute testate giornalistiche, si rischia di apparire come un bohémienne démodé.
Ma il più meritevole di attenzione è il magistrato moralista, che, in adamantina e perfetta buona fede, combatte assillanti crociate al grido di “Dio lo vuole”.
Ontologicamente, il complesso del crociato, costituisce una aporia nei confronti del giudice giudicante, il quale per connaturata definizione è terzo ed imparziale.
L’assunto, in maggior misura, rappresenta una contraddizione in termini anche per il pubblico ministero, non solo perché non rientra nelle funzioni sancite dalla legge, ma perché i fanatici travestiti da pseudo intellettuali, sono stati sempre estremamente pericolosi.
Norberto Bobbio nel suo libro “Italia civile” ha confessato di detestare “i fanatici con tutta l’anima”, ribadendone un trentennio dopo il medesimo concetto nello scritto “De senectute”.
In un romanzo del 1911 di Ardengo Soffici dal titolo “Lemmonio Boreo”, il protagonista, dopo avere divorato riviste e giornali, era rimasto nauseato da “errori, irregolarità, abusi, vigliaccherie, buffonate, malignità, stoltezze di ogni risma, d’ogni conio e d’ogni maniera”, e come rimedio pensò ad “un uomo dall’aspetto fra il sacerdote ed il guerriero, con viso corrucciato e randello in mano” che girasse tra le contrade e sanzionasse “le indegnità commesse con legnate a tutto spiano”.
Lemmonio Boreo, il novello cavaliere errante, assume la veste di nefasto e superficiale vendicatore, per una improbabile crociata avallata da una invisa giustizia autodafé evocante “L’uomo senza qualità” di Robert Musil.
Sono esperienze pericolose quelle paventate da una donchisciottesca magistratura, che portano alla creazione dell’eroe e da questo al demiurgo ed all’uomo della provvidenza.
Per affrontare e risolvere le controversie, quello che serve al magistrato è riserbo ed equilibrio, per finalmente ottenere una giustizia mite in un paese normale, non dimenticando che si giocano le sorti liberali delle persone e dei loro patrimoni.

Probabilmente sarò un romantico della giustizia, ma cosa rimane se ai puri si tolgono le illusioni.