Considerazioni su una terra antica, di cultura mai ovvia e duttile nell'ingegno
Taurianova è il mio posto tra gli ulivi
millenari, la contrada pre aspromontana medievale da dove scrivo a me stesso
lettere che mai spedirò, il mio osservatorio privilegiato di quell'immenso
teatro che è il mondo e della strana avventura che vi si svolge, la vita,
l‘Italica che mai ho lasciato, la cassapanca ove custodisco, riposti, i ricordi
di generazioni.
Taurianova, tassello d'un vasto e
ricomposto mosaico, una sola piccola parte di esso, eppure l'essenza del tutto.
Scrigno che racchiude preziosi tesori,
lontani ricordi.
Terra intrisa di contrasti, di ossimori,
perché essa stessa ne è sede e teatro, genesi e nascituro, vita e morte.
C'è una Taurianova stupida (”buona”), e
un'altra intelligente (“aperta"): una sofferente ed una vendicativa, la
parte buona e quell'altra cattiva, la luce e il lutto, la speranza e la
dannazione.
Taurianova come metafora e come trappola,
giardino e clausura, riso e pianto, allegoria e realtà.
Quella stessa contrada che si scinde in
Jatrinoli e Radicena, per poi ricomporsi, in due parti uguali e contrarie.
Al pari dell'uomo che sente il conflitto
permanente delle due componenti che in lui convivono, volte costantemente alla
scissione e alla ricomposizione, in un equilibrio precario e ribelle, perciò
anarchico, per divenire lotta e passione, ma poi armonia e quiete: quindi
riprendere il dolce-amaro gioco della vita.
Taurianova è la scoperta della
sopravvivenza di mestieri creduti scomparsi.
E’ il ricordo della civiltà delle botteghe
le "putiche" del falegname,
del sarto, del barbiere, del fabbro, dell'oste, del calzolaio.
Taurianova è il ricordo dei giorni
dell'infanzia, di quei giorni che furono (e anche di quegli altri allora
segnati, che mai saranno), trascorsi fra persone care (che via via vediamo
scomparire precedendoci nel viaggio del mistero), fra cose piacevoli, in parte
irrimediabilmente perdute, che solo i ricordi della memoria riescono a far
rivivere, proprio come in un inesauribile “museo d'ombre”.
Taurianova è la terra dei paradossi, che
meglio rendono l'idea del concreto, dove finzione e realtà hanno un confine
cosi labile da confondersi e, dunque, fondersi.
Nessuno sa né può capire, se qui non ha
radici, quanta ”essenza" stia dentro l'uomo di Calabria, nel suo essere e
sentirsi tale, nella sua rassegnata rassegnazione al dolore, nella sua atavica
sofferenza, nel suo occulto (ma non troppo) desiderio di trasgressione della
regola, legale o morale che sia.
Il detenuto apprezza più d'ogni altro il
gusto della libertà, poiché ne è privato, così come il vegliardo ama quella
gioventù, un tempo sottovalutata, dopo averla vista irrimediabilmente svanire.
Il calabrese apprezza il gusto della
trasgressione, per godere, oltre i margini della legalità, il piacere del
proibito.
E‘ questa una componente primaria di
quella cultura araba, qui radicata, che si avverte, ma non si vede, perché
vedere non si deve.
Provate a trovarvi nei vicoli stretti e
sinuosi, posti nel cuore antico d'ogni città o paese: uomini e donne appaiono,
scompaiono, riappaiono come in una sequenza scenica, quasi come in un gioco
d'ombre cinesi, e ciascun ”intruso“, senza che se ne accorga, in ogni suo passo
è vigilato, controllato, pedinato.
Essere calabresi significa prima di tutto,
in ogni caso, essere un po’ diversi dagli altri, qualunque sia il senso che a
questa diversità si voglia attribuire.
Ma essere calabresi o taurianovesi vuol
dire anche non perdersi le albe e soprattutto i tramonti, tutto vi sembrerà il
frutto di una terra incantata e magica.
Ai crampi allo stomaco rispondete con un
pane appena tirato fuori dal forno a legna, che gusterete ancor di più dopo
averlo tagliato a metà e farcito con olio d'oliva, origano, pepe rosso, e una
fetta di formaggio pecorino.
Fermatevi, come mia moglie, presso una
delle tante bancarelle all'aperto per gustare, secondo la stagione, e comunque
sempre accarezzati dal sole tutto l'anno una fetta d'anguria, o una succosa
arancia, oppure per addentare una mela, che vi somiglierà a quella di Adamo...
Dissetatevi ad una fontanella o cercate un
chiosco per farvi servire “na spremuta”
di limone in uno spruzzo di acqua seltz, con l'aggiunta di una punta di sale
che ha anche un effetto apotropaico.
Se vi trovate in difficoltà, rivolgetevi a
un anziano: porrà al vostro servizio la proverbiale ospitalità, senza chiedervi
nulla, nemmeno il vostro nome, ed avrà già dimenticato il vostro volto prima
che cerchiate di ringraziarlo invano: sarà già sparito.
Ma soprattutto inforcate bene gli occhiali
della mente per ammirare quel che la Calabria è più propensa a lasciar vedere
agli intenditori: i suoi tesori nascosti.
Non stranizzatevi dunque se, in cerca,
magari in qualche bottega museo, d'antichi oggetti, finirete, senza volerlo,
con l'essere ammaliati dalla voce e fulminati dalla forza degli occhi di
qualche leggiadra fanciulla del posto, o col ritrovare, strada facendo, la
sirena Ligea, oppure con l'imbattervi nella innocente ninfa Scilla o nel
disperato Glauco.
Capita, più spesso di quanto non osiate
immaginare.
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