Una antica narrazione riportata alla luce da anni di oblio
Era nato in Calabria a Radicena: terra di
passaggio.
Nei pressi della zona denominata
"Chianu 'i San Basili" (Piano di San Basilio), nei pressi
dell’odierna piazza Garibaldi.
Giovanissimo si trasferì a Roma dove si
innamora di Giovanna, si fidanza con Giovanna, non vede altro che Giovanna,
sposa Giovanna; ne è felicemente travolto e travolge Giovanna e Giovanna gli
regala Antonio e Carlo.
Il suo inesauribile interesse per lo
studio della mente umana sconvolta dalla follia, lo porta all’insegnamento
universitario.
Una frase lo aveva particolarmente
colpito, una frase che è nel frontespizio della "Storia della pazzia" di Bruno Cassinelli:
"Se
un giorno le belve dovranno giudicare gli uomini, porteranno come atto di
accusa contro di noi la ferocia degli uomini sani contro gli uomini folli".
E più ancora fu colpito dalla dedica del
libro: "Questo studio su una realtà
nel cui disperso dolore restano assolte le creature e condannata la materia".
In questa assoluzione delle creature, in
questa condanna della materia, nel desiderio prepotente di confortare quel
disperso dolore, iniziò lo studio delle discipline psichiatriche, penetrando
nella mente dell'uomo, scrutando le anamnesi remote, i fatti recenti, i fatti
dell'infanzia, i traumi fisici, i traumi psichici, entrando nel regno
emozionale del malato, soffrendo le sue ansie e i suoi martiri.
Dinanzi al dolore, il tratto severo del suo
volto, il suo piglio aggressivo, il suo artiglio si mutava in una infinita
pietà, in un sorriso dell'anima.
Erano quelli i tempi in cui la scuola
psichiatrica italiana, la scuola del Cerletti antesignano dell'elettro-shock,
del Gozzano, del Ferrio, il sistematico della disciplina, aveva assunto gli
insegnamenti della scuola germanica, della scuola del Kraepelin, dello
Schneider, del Kolle, i quali poi avevano tratto insegnamento dal positivismo
italiano di Ardigò e dall'antropologia del Lombroso.
Così inizia questo studio in una maniera
estremamente profonda, ma con una sua particolare tipicità.
Chi l‘aveva ascoltato asseriva che egli
restava sempre ancorato alla sua cultura letteraria: il che rendeva
l'esposizione delle sue idee facile e affascinante.
Poneva in parallelo il personaggio del
mondo letterario con il soggetto che studiava. Era colto: leggeva moltissimo e
aveva anche una memoria veramente prodigiosa, salvo poi a non salutare qualcuno
che conosceva, o salutare qualcuno che non aveva mai visto.
Aveva un modo di parlare autonomo e
squisitamente personale.
Nello studio della paranoia, affrontava il
tema dei deliri nei quali vedeva le deformazioni degli aspetti reali della vita
così come si vedono deformate le immagini negli specchi concavi.
Nel delirio mistico, intuiva l'ansia del
malato di raggiungere l'eternità dello spirito e la impossibilità di realizzare
questa aspirazione.
E di qui la frattura tra vita logica e
vita affettiva.
Nell’attraversare una corsia manicomiale, ed
a un certo momento vide una povera vecchia scarmigliata, con gli abiti a brandelli
e un'espressione drammatica sul volto: era l'immagine della disperazione e
della sofferenza.
Stava a terra, prona, con le mani in
avanti, proferendo preghiere senza senso e in tono lamentoso.
Egli, con piglio stentoreo disse una frase
bellissima: “Chissà quanti secoli pregano
in quelle vene".
Con questa riflessione superò l'anamnesi
remota e gentilizia e intuì le forme ereditarie più antiche, anticipandone lo
studio del codice genetico.
Scomparve con la famiglia, dissolvendosi,
come molti ebrei, tra le fiamme di quel male che avvampò tra le menti malate,
che con piglio scientifico aveva studiato.
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