Chi comanda in Italia?
Riflessioni sui nuovi Sicofanti della giustizia italiana
Un’antica vocazione degli
italiani è quella di genuflettersi osannando i poteri considerati
“provvidenziali”.
In un ieri passato
l’invocazione era per il Duce, supremo reggitore dei destini della Patria
Imperiale.
Con la caduta del Fascio,
la “ribellione delle masse” si stemperò nell’attesa salvifica di una pletora di
partiti, i quali avrebbero determinato le future sorti della fantomatica
repubblica parlamentare fondata sul lavoro!
In definitiva tutti i
sedimenti di culture confessionali, integralistiche, fideistiche di matrice sia
cattolica che marxista, cospiravano a determinare le tendenze irreparabilmente
politiche per le future generazioni.
Un effetto di tali guasti è
la infatuazione dei municipali (rectius cittadini) per l’opera (sic…) della
Magistratura.
Si tratta in fondo di
antichi retaggi od eredità inquisitoriali, che inducono larghe fasce di
cittadini ad amare di più il pubblico Ministero e il Giudice, anziché la
Difesa.
Su questa
costituzionalmente insana esaltazione, alimentata giornalmente dai mass-media, si
asside il nuovo culto pagano del “potere giudiziario”, considerato dal popolo come
il reale detentore del potere temporale titolato da questi simulati papi, che avocano
una serie di ingenti poteri, impensabili in passato, alimentati dalle
sacrosante inchieste di mafia e tangenti oltreché dall’esorbitante sacrificio,
ingiusto, pagato con la vita da alcuni esemplari magistrati.
Ma il potere
straordinariamente pervasivo, pregno di effetti di eccezionale gravità
invadente le sorti democratiche, è lo scardinamento operato dai giudici
attraverso la obbligatorietà dell’azione penale o l’ininterrotta e delegata iniziativa
investigativa contro i rappresentanti parlamentari del regime democratico
popolare.
Questo scardinamento si è
concretizzato in due importanti punti:
- il primo, si è
materializzato nella modifica strutturale ed incostituzionale dell’immunità
parlamentare, nata come prerogativa storica a tutela dei Parlamenti contro gli
attacchi del potere regio, è finita oggi in Italia col soggiacere alla
imposizione del nuovo “potere sovrano”, quello giudiziario, il quale con una
pressione demolitiva continua ha finito col condizionare le stesse decisioni
delle assemblee popolari;
- il secondo, ha preso
corpo attraverso l’alterazione costituzionale del rapporto fiduciario tra il
potere esecutivo e legislativo e quello Presidenziale.
I Presidenti della
Repubblica, massima espressione costituzionale della funzione di controllo e di
indirizzo politico, hanno dovuto soggiacere al clima di supremazia del potere
giudiziario aggravando la grave asimmetria tra i poteri dello Stato con degli
psico-risibili comportamenti che da un lato esortavano alla concordia nei
rapporti tra poteri, dall’altro davano la carica a magistrati “giustizieri” od
“orologieri”, facendo così mostra di dubbio rigore costituzionale.
Di tale pseudo-rigorismo in
questo periodo di grave ed inarrestabile regressione morale, economica e
finanziaria ne faremmo certamente a meno, concretando gli elogi agli
infaticabili e indefessi magistrati che silentemente prestano la loro retribuita
opera, con quelli vergati con inchiostro indelebile dal giurista Piero Calamandrei,
il quale affermava come “È arduo codificare l'indipendenza. Occorrono certo la
terzietà e l'imparzialità ma occorre anche che terzietà e imparzialità siano
assicurate sotto il profilo dell'apparenza... Il giudice ad esempio dovrebbe
consumare i suoi pasti in assoluta solitudine.”
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