Datemi una maschera e vi dirò la verità (Oscar Wilde)
Riflessioni sulla verità giudiziaria
Di questi tempi
non è facile giudicare!
Molto spesso
l’unico ad essere criticato, sovente stritolato da quel terrificante mostro che
si chiama opinione pubblica, è il giudice, il quale identificato nell’asino di
Buridano, posto tra due cumuli di fieno perfettamente uguali e alla stessa
distanza non sa scegliere quale iniziare a mangiare morendo di fame
nell'incertezza.
Secondo
l’apologo, tradizionalmente attribuito al filosofo Giovanni Buridano, l'intelletto
è sempre in grado di indicare all'uomo quale sia la scelta giusta tra le varie
diverse alternative tanto che se, per assurdo, la scelta fosse costituita da
due elementi identici la volontà si paralizzerebbe a meno che non si scegliesse
di non scegliere.
La scelta
ontologicamente ragionata del giudice cozza anche biblicamente con il volere ondivago
del popolo il quale, come si narra nel Vangelo secondo Matteo, e con la riluttanza
dell’incerto Pilato che si lava le mani della annosa questione - unica autorità
in grado di decidere una condanna a morte -, manda su input del volgo Gesù di Nazaret
a morte.
In questo
scorcio del XXI secolo stiamo assistendo alla elefantiasi del potere, in tutti
i rami: dalla “protagonismopatia” alla “imbecillepatia”, dalla “megalopatia”
alla “schizofrenopatia” tendenti ad asfissiare e stravolgere quelle personalità
adamantine pur nate per scopi più civili, nobili ed illuminati.
La giustizia,
per affermarsi, non ha bisogno di grandi buccinatori dell’effimero, di stonati
strilloni del quotidiano o di stridenti corifei della cronaca.
La verità è una
sola ed a questa il giudice deve tendere l’analisi, ricercandone ad ogni costo
una sintesi delle cose, che al di là di ogni ragionevole dubbio indichi come
non vi sia che la certezza della sola verità.
A monte di ogni
problema ce n’è sempre uno irrisolvibile, che costituisce il problema più alto,
ed è quello che riguarda la verità la quale rappresenta un rompicapo di tale
potenza da far rivivere l’aforisma sottile e perfido secondo il quale: “Dite
una bugia per un mese alla fine sarà verità”.
Pertanto, per
sbalordire il mondo non c’è alcun bisogno che il giudice si trasmuti nel superomismo
della filosofia di Nietzsche che ebbe nell’italico Gabriele D'Annunzio uno dei
principali e più convinti epigoni.
Anche se Jean-Paul Sartre
acutamente e spietatamente ebbe a dire che “La verità è una bugia”, il
giudicante deve sempre inalberare la verità sulle miserie umane che si
presentano dinanzi allo scranno, con la consapevolezza che costituisca l’ultima
realtà obiettiva ponderabile sulla terra.
Gli ideali di
verità, di libertà e di giustizia per i quali si batterono in epoche storiche
passate Lisia, Demostene e Cicerone, costituiscono ancora l’humus sostanziale attraverso
il quale si radica l’odierno afflatus con il quale si battono ancora gli
avvocati di tutto il mondo.
Se la più grande
avventura dell’uomo è stata quella di aver inventato la giustizia, e questa
viene calpestata, allora il più grande errore di Dio è quello di aver inventato
l’uomo, anche perché in fondo come disse Aristotele: “La verità sta in fondo a
un urlo”!
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